di Guido Talarico

Il Premio Nobel per la pace del 2019, assegnato soltanto al primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Alì, per aver messo pace al conflitto con l’Eritrea, ma negato alla sua controparte, vale a dire il Presidente eritreo Isaias Afewerki, è un controsenso che testimonia ancora una volta lo scarso coraggio, la poca autonomia e la debolezza politica del premio norvegese. Escludere dalla premiazione l’Eritrea ed Afewerki, vale a dire il paese ed il presidente che per vent’anni sono stati vittime degli attacchi etiopi, con tutti i costi umani e sociali che questo ha causato nel piccolo paese del Corno d’Africa, appare come una scelta grottesca.  Abiy ha di certo meriti straordinari, sia per l’accordo di pace sia per i coraggiosi tentativi di aiutare il proprio paese e l’intera area ad avviarsi verso la via della serena convivenza e dello sviluppo. Ma senza la mano tesa che Afewerki gli ha porto il giorno dopo il suo insediamento Abiy non solo non avrebbe potuto fare alcun accordo di pace, ma al contrario sarebbe stato molto più fragile anche sul fronte interno. Quindi il Nobel andava dato ad entrambi. E non c’è giustificazione che tenga. Per altro vi erano precedenti illustri che indicavano quale fosse il percorso giusto. Nel 1993 il Nobel per la pace andò a Nelson Mandela e a Frederik de Klerk congiuntamente. Da una parte la vittima simbolo del sistema segregazionista sudafricano dall’altro il rappresentante del regime che creò quell’aberrazione chiamata apartheid. Il nero vittima e il bianco carnefice che si stringono la mano dopo l’uscita del primo da Roben Island, grazie all’apertura mentale del secondo. Il padre del nuovo Sud Africa e il figlio del vecchio establishment che vanno ad Oslo a ritirare il premio per la pace. Quella si che fu un’operazione coraggiosa fatta dai giurati di Oslo dell’epoca. Una scelta chiara che aiutò a sancire la pacificazione tra bianchi e neri in Sud Africa. Andava fatta la stessa cosa ora. Il Premio Nobel per la pace 2019 andava dato ad Abiy e ad Afewerki, congiuntamente. Perché la pace è merito di entrambi.  Senza preconcetti, senza discriminazioni. Punto e basta. Invece così i giurati di Oslo hanno fatto un distinguo ingiusto che ricalca quella narrativa costruita sapientemente dal precedente regime etiope, governato dai tigrini, che, con l’aiuto determinante di Stati Uniti ed Europa, ha per decenni gettato fango e discredito sugli eritrei. Non a caso nella motivazione i giurati sottolineano come “il premio Nobel per la Pace vuole anche riconoscere tutti gli altri che stanno lavorando per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell’Est e del nord Est dell’Africa“. In particolare viene ricordata la “stretta collaborazione con il presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki“, che ha permesso a Abiy di “fissare velocemente i principi di un accordo di pace per mettere fine al lungo stallo di ‘no pace no guerra’ tra Etiopia ed Eritrea“. Parole misere. Un tentativo di giustificare una scelta chiaramente pavida che indirettamente conferma quanto la stessa giuria fosse conscia di avere compiuto una scelta ingiusta. Ma questo è l’occidente, questa è la politica. Anche quando assegna un premio pensa prima ai propri interessi poi alla verità dei fatti.