di Guido Talarico
La scuola italiana di Asmara, la più grande delle poche scuole che Roma ha all’estero e la più antica avendo cominciato ad operare nel 1903, sembra definitivamente destinata alla sparizione. Un vero peccato. Ho visitato quegli istituti e saperli serrati serra anche il cuore. Le polemiche tra il Governo italiano e quello eritreo in merito all’Istituto Italiano Statale Omnicomprensivo di Asmara ad oggi sembra infatti portino ad una via senza uscita che è appunto la chiusura definitiva della scuola, almeno nella gestione a guida pubblica italiana avuta fin qui. I motivi della crisi che portano a questo triste epilogo in realtà hanno radici antiche e sono figlie di una serie di incomprensioni, anche se la chiusura dell’istituto avviene in concomitanza delle misure anti-covid. Gli eritrei infatti revocano definitivamente la licenza quando sono costretti a constatare che gli italiani non rispettano minimamente leggi e forme locali, ma fanno di testa loro, chiudendo la scuola in anticipo e senza concordarne le modalità con il Ministero competente. Modalità che vengono percepite come l’ennesimo sgarbo italiano.
Questa è la scintilla che ha portato alla drastica chiusura. In realtà le motivazioni della frattura sono più profonde. La principale, manco a dirlo, sta nel taglio alle scuole dei fondi pubblici: la riforma dell’Istruzione del 2017 e 2018 ha infatti ridotto drasticamente il contributo finanziario agli istituti di formazione all’estero il che ha avuto molte conseguenze tra le quali l’impossibilità di integrare il corpo docente e il conseguente ricorso a molte sostituzioni con docenti non di madre lingua italiana.
Insomma, è una crisi partita da lontano, che ha per costante la diminuzione dei fondi, ma che negli ultimi anni è stata acuita anche da un dialogo certamente non proficuo con la nostra Ambasciata. Una freddezza di relazioni che ha generato diffidenza e che nel giro di poco ha deteriorato i rapporti bilaterali tra Eritrea ed Italia e quindi portato anche alla chiusura della scuola.
Un episodio che in qualche modo ha pure diviso gli animi alla Farnesina, tra chi ritiene che nonostante i tagli occorrerebbe fare sforzi ulteriori per mantenere buone relazioni con paesi come l’Eritrea, che con l’Italia vanta un’antica e solida relazione e che negli ultimi anni ha assunto un ruolo centrale nello scacchiere dell’Africa Orientale e chi invece questa opportunità non la vede e ha colto l’occasione dei tagli e dello scontro sulle procedure anti-Covid per favorire uno strappo che ora appare definitivo.
E dire che il Premier italiano, Giuseppe Conte, è stato tra i primi leader occidentali ad andare ad Asmara a complimentarsi con il Presidente Isaias Afewerki per la raggiunta pace con l’Etiopia e a promettere impegno per un miglioramento delle relazioni tra i due paesi. Una buona viaggio, quello di Conte, apprezzato dagli eritrei ma che però poi non ha portato a quei passi ulteriori che invece erano attesi per sbloccare la crisi e riaprire la scuola italiana. Ora, al di là della questione delle responsabilità, rimane il fatto che l’Italia continua a perdere posizioni in molti punti chiave del globo, come la Libia, l’Arabia Saudita o l’Egitto, tanto per fare tre esempi, anziché conquistarle. Una tendenza preoccupante della quale il Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, pare volersi occupare e anzi sembra aver messo tra le sue priorità.
Non a caso uno dei big della Farnesina, ed è giusto per fare un esempio, l’ex direttore generale per la promozione del Sistema Paese, Vincenzo de Luca, è stato nominato ambasciatore in India proprio per recuperare una situazione che gli anni si era deteriorata sia per un presunto scandalo relativo alla fornitura con corruzione di 12 elicotteri di Agusta Westland, società del gruppo Leonardo, sia per la lunga e penosa coda giudiziaria relativa all’arresto per omicidio dei due Marò italiani. Insomma, la Farnesina sa che gli ambasciatori servono a costruire ponti e non a distruggerli e sa che quando le situazioni si fanno complicate deve spendere i suoi uomini migliori.
La chiusura della scuola italiana di Asmara è un dramma per una generazione fatta da 1500 giovani eritrei che da un giorno all’altro si trovano a dover cambiare scuola e lingua principale, ma è anche il segno di una politica estera italiana che deve trovare il modo di riprendere a tessere la sua tela, soprattutto in paesi amici come l’Eritrea. La nostra tela principale è sempre stata la cultura, l’insegnamento, la politica del fare. Bisogna ripartire da qui, per una scuola che chiude per problemi risolvibili, bisogna avere la capacità di implementare una politica estera che faccia del dialogo, dell’interscambio, dell’inclusività, dello sviluppo economico le sue armi migliori. Per una scuola che chiude bisogna pensare a come riaprirla insieme ad altre cento.
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