Secondo il fondatore della società leader nelle rinnovabili “Pensare di risolvere la crisi riaccendendo le centrali a carbone o aumentando (a termine, oggi non è possibile) le importazioni di gas da Algeria e Azerbaijan sarebbe un grave errore strategico”

di Leonardo Montesi*

Non si può avere indipendenza politica senza indipendenza energetica. Le scelte sbagliate, anzi le non-scelte come le ha chiamate l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, dettate dalla politica del NO (NO al nucleare, NO ai rigassificatori, NO alle pale eoliche, NO al fotovoltaico, NO alle trivelle) hanno reso l’Italia il Paese che nel mondo ha la più alta dipendenza da importazioni di energia dall’estero (superata solo dal Giappone che dopo l’incidente di Fukushima, ha deciso di chiudere le centrali nucleari) e reso il benessere economico sociale dell’Italia totalmente dipendente da fattori esogeni. La vulnerabilità delle imprese e delle famiglie italiane agli effetti della crisi Russia / Ucraina ne sono un segno evidente.

Pensare di risolvere la crisi riaccendendo le centrali a carbone o aumentando (a termine, oggi non è possibile) le importazioni di gas da Algeria e Azerbaijan sarebbe un grave errore strategico. Ci limiteremmo a sostituire la dipendenza dalla Russia con la dipendenza da altri Paesi senza incidere minimamente sulla spesa energetica che oggi frena lo sviluppo delle imprese e devasta il bilancio delle famiglie. Senza contare i danni che questo ritorno al passato arrecherebbe all’immagine internazionale delle aziende private proprietarie di quelle centrali che hanno integrato la sostenibilità ambientale nel loro core business.

L’Italia non ha risorse fossili in grado di soddisfare il suo fabbisogno ma dispone in abbondanza di acqua, sole e vento. Sostituire le fonti di generazione convenzionali con fonti rinnovabili, quali fotovoltaico ed eolico, e aumentare il grado di elettrificazione dei consumi sono le uniche soluzioni che potrebbero rendere l’Italia completamente libera e resiliente alle grandi crisi internazionali, e alleggerire in maniera significativa, anche da subito, le bollette degli italiani.

I progetti di impianti rinnovabili che sono bloccati dalla burocrazia sono circa 200 GW, di cui una parte importante in regime agri-fotovoltaico e quindi a consumo di suolo agricolo ridotto o nullo. La proposta avanzata al governo dalla nostra associazione confindustriale è di sbloccare in tempi rapidi progetti per almeno 60 GW nei prossimi 3 anni. Una tale decisione del governo farebbe partire investimenti per circa 85 miliardi interamente finanziati dal settore privato (e quindi in aggiunta al Pnrr) che porterebbero alla creazione di 800 mila nuovi posti di lavoro, aiutando così, l’economia italiana a crescere.

Sarebbe una scelta che metterebbe l’Italia in condizione di raggiungere gli obiettivi energetici e climatici per il 2030 con cinque anni di anticipo, che farebbe risparmiare circa 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, di fatto azzerando la necessità di gas ai fini di generazione di energia entro il 2030, e che ridurrebbe il costo al kWh dell’energia prodotta migliorando la competitività delle imprese e aumentando il potere di acquisto delle famiglie.

Siamo tutti consapevoli che un programma di questa portata non potrebbe mai essere realizzato nell’Italia dei veti incrociati senza un accentramento delle decisioni e il superamento delle resistenze della burocrazia. Semplificazione amministrativa e sburocratizzazione dei processi e delle procedure nei rapporti fra PA e imprese è da sempre al centro del dibattito pubblico e rappresenta un punto cardine del programma governativo del Presidente Draghi.

Il D.L. 17/22, pubblicato in Gazzetta il 2 marzo, è un pannicello caldo che produce altro debito e il decreto “Semplificazioni” non ha prodotto alcuna accelerazione ma ha solamente spostato le pratiche dai tavoli di Province e Regioni a quelli del MiTe e del Ministero della Cultura dove continuano a coprirsi di polvere. È necessario un nuovo decreto che semplifichi veramente le procedure per costruire e potenziare le centrali elettriche da fonti rinnovabili, equiparandole a opere di pubblica utilità e, per questo, sottoponendole all’autorizzazione unica da parte del MISE (come fu fatto nel 2002 con il decreto “sblocca centrali”). Non c’è più tempo per stucchevoli discussioni sulla difesa dei “caratteri rurali e naturalistici” di paesaggi spesso degradati dalla presenza di ecomostri e per i dibattiti filosofici sulle aree idonee e il burden sharing.

Ma la popolazione sarà pronta a tollerare torri eoliche e parchi fotovoltaici solo per contribuire allo sforzo di rendersi energeticamente autonomi e di inquinare di meno? Nonostante il cambiamento del clima visibile a occhio nudo, i conflitti per l’energia e le speranze in termini geopolitici che accompagnano lo sviluppo delle fonti rinnovabili, le popolazioni non accolgono sempre con soddisfazione le frenate sul fossile e le accelerazioni sulle rinnovabili. Bisogna che lo Stato accetti di restituire a imprese e famiglie una parte del beneficio derivante dalla riduzione del costo del kWh di energia prodotto a seguito del cambiamento del mix. Se solamente ricevessero un “incentivo” sotto forma di risparmio in bolletta, famiglie e imprese diventerebbero l’arma più potente per sconfiggere la burocrazia e i veri alfieri della “rivoluzione verde”.

Insomma le idee ci sarebbero. Bisogna trovare il coraggio per realizzarle.

*Leonardo Montesi è Chairman e Ceo di TEP Renewables

www.teprenewables.com

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