di Mario Tosetti

Il presidente russo, Vladimir Putin, per l’ennesima volta ha utilizzato il gas come un vero e proprio ricatto nei confronti dell’Unione Europea: le consegne del prezioso combustibile potranno riprendere in grandi quantità, attraverso il Nord Stream 2 oppure rendendo la Turchia un hub del gas, ma attenzione tutti i paesi che metteranno il price cap non riceveranno forniture, con il rischio di “non sopravvivere all’inverno”.

La questione del price cap, se già generava parecchi dubbi in molti Stati europei, dopo l’intervento di Putin non farà altro che ingrandire le distanze tra i vari Paesi. Si attendono, quindi, soluzioni a seguito dell’imminente vertice europeo il 20 e 21 ottobre: stock comuni ed una maggiore solidarietà, un intervento sull’indice Ttf di Amsterdam. Il price cap all’ingrosso, soluzione avallata dall’Italia, sembra essere sempre più una soluzione residuale e alternativa ad un intervento di modifica sui riferimenti del Ttf di Amsterdam.

A questo punto, però, appare sempre più lecito e plausibile interrogarsi su cosa accadrebbe in Italia se la Russia interrompesse definitivamente le forniture. Da ultimo ha risposto all’interrogativo un’analisi di Bankitalia che ha ridotto le stime di crescita per il Paese nel 2023 di un punto percentuale allo 0,3% che potrebbe solo peggiorare arrivando addirittura al -1,5% a seguito di un definitivo stop delle forniture di Mosca. “Nello scenario più avverso si ipotizzano un’interruzione completa dei flussi di gas russo verso l’Europa e prezzi delle materie prime significativamente più elevati, a cui si accompagnerebbero un più marcato rallentamento del commercio internazionale e, nel breve termine, una maggiore incertezza”, ha spiegato Bankitalia.  Ma non solo, occorre tenere presente che i prezzi di petrolio e gas si alzerebbero del 50% rispetto al prezzo base con  80 dollari al barile e 190 euro al megawattora rispettivamente, facendo salire ulteriormente l’inflazione oltre il 9 per cento. Un quadro che inevitabilmente avrebbe ripercussioni sulle scelte di politica monetaria della Bce, che già ha messo sotto la lente la corsa dei prezzi.

Anche il governo Draghi, ancora in carica fino alla formazione del nuovo governo, ha analizzato in occasione del Nadef, la Nota di aggiornamento del Def, cosa accadrebbe nell’ipotesi di uno stop delle forniture. Secondo quanto si legge nel Natef: “Allo stato attuale, da una percentuale di riempimento degli stoccaggi prossima all’obiettivo del 90% e la continuazione in settembre delle importazioni dalla Russia, sia pure con volumi molto inferiori al passato, lo scenario di rischio che appare più rilevante è quello di un completo arresto delle forniture dal mese di ottobre in poi”. Partendo da queste prospettive il Pil è destinato a non crescere  riferimento a questo scenario di rischio, l’esecutivo ha previsto una minor crescita del Pil in confronto al tendenziale di 0,2 punti quest’anno (quindi +3,1%) e 0,5 punti nel 2023 (+0,1%), mentre risulterebbe superiore di 0,4 punti nel 2024 e 0,2 punti nel 2025 «per un effetto rimbalzo”.

Nel frettempo la Germania ha reso noto di aver raggiunto con due settimane di anticipo l’obiettivo di riempimento dei depositi di stoccaggio di gas portandosi al 95,14% delle scorte. Un livello che, secondo l’Agenzia Federale della Rete tedesca (Bundesnetzagentur), si sarebbe dovuto raggiungere entro il prossimo 1 novembre. “Il gas immagazzinato ci aiuterà nell’inverno, ma le sole scorte non sono abbastanza”. A suo avviso infatti con gli attuali volumi si potranno coprire solo due mesi freddi e il Paese ha bisogno di arrivare al prossimo 1° febbraio con “ancora il 40% delle scorte” disponibili. Per questo “è necessario utilizzare il gas con parsimonia”, ha commentato il presidente dell’Agenzia Klaus Mueller .

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