Il terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria non solo ha causato un’enorme perdita di vite umane, distrutto strade ed edifici ma ha travolto anche il patrimonio culturale e storico dei luoghi coinvolti
di Emilia Morelli
I monumenti sono la memoria storica, tangibile, dei popoli. Portano con se le radici culturali dei Paesi. Sono lì. Si ergono maestosi, attrattiva per i turisti e vanto per le popolazioni dei luoghi che li ammirano quotidianamente. I monumenti resistono, resistono alle intemperie, resistono ai cambi di governo, molto spesso resistono anche alle guerre. Ma non sempre resistono alla furia delle calamità naturali.
E’ quanto è accaduto al castello di Graziantep. A seguito del sisma che si è abbattuto sul sud della Turchia e sulla Siria centro-settentrionale dove prima si ergeva il castello patrimonio dell’Unesco, ora c’è un cumulo di macerie. Il castello era una costruzione enorme, sorta quasi duemila anni fa per mano dell’impero Ittita. Inizialmente si trattava di un osservatorio che consentiva di avvistare con largo anticipo gli attacchi provenienti dal mare ma furono i romani a realizzare lì la prima vera fortezza tra il II e III secolo dopo Cristo. Nel sesto secolo il castello subì ulteriori ampliamenti e rinnovamenti sotto l’imperatore Giustiniano che fece erigere 36 torri a difesa di un bastione circolare con una circonferenza di circa 1200 metri. Da ultimo la fortezza era stata profondamente modificata durante il regno dell’imperatore ottomano Suleyman I il Magnifico (1520-1566), che ne rafforzò le mura e fece aggiungere una cinta interna. Gli ottomani cambiarono anche l’aspetto estetico della fortezza, facendola sembrare un’opera d’arte militare, status che ha mantenuto fino ad oggi.
Il crollo del castello di Graziantep rappresenta, comunque, solo il più imponente tra i monumenti colpiti. Il terremoto ha causato danni anche a chiese e moschee. E’ in macerie, tra le altre, cattedrale cattolica risalente al 19esimo secolo, di Iskederum, nella città storicamente nota come Alessandretta o ancora la Chiesa dei Quaranta Martiri della comunità armena, rimasta finora come simbolo e monito della comunità in larga parte spazzata via dal genocidio del secolo scorso. Ridotta in un cumulo di macerie anche la Moschea di Yeni, a Malatya, 150 km a Nord-Est di Gaziantep.
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